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Corte d'Appello di Bologna > Lavoro straordinario
Data: 28/08/2000
Giudice: Benassi
Tipo Provvedimento: Sentenza
Numero Provvedimento: 39/00
Parti: Barilla Alimentare S.P.A. / Mambelli +3
LAVORO STRAORDINARIO CONTINUATIVO E NON OCCASIONALE - INCIDENZA NEL CALCOLO DELL'INDENNITA' DI ANZIANITA' E DEL TFR: SUSSISTENZA - ESCLUSIONE DA PARTE DELLA CONTRATTAZIONE COLLETTIVA: NECESSITA' DI DEROGA ESPLICITA - DECORRENZA DELLA PRESCRIZIONE


Alcuni ex dipendenti della Barilla che avevano effettuato prestazioni straordinarie con continuità e non occasionalità convenivano in giudizio con separati ricorsi il proprio datore di lavoro avanti al Pretore di Parma (nel corso del processo "trasformatosi" in Giudice unico del Tribunale) per vedersi riconosciuto il diritto al computo dello stesso sia nell'indennità di anzianità accantonata al maggio del 1982, sia nel TFR, prima e dopo la presunta deroga da parte del CCNL del 1983 che, a detta del datore di lavoro, l'avrebbe espressamente escluso. Il Tribunale di Parma accoglieva parzialmente le domande, e la sentenza veniva impugnata dalla società che proponeva cinque motivi di appello principale nei confronti dei lavoratori, che a loro volta proponevano tre motivi di appello incidentale. La complessità delle questioni trattate consentono alla Corte di affrontare diverse problematiche che cercheremo di sintetizzare. PRESCRIZIONE. La società Barilla ripropone in sede d'appello l'eccezione di prescrizione, assumendo che a seguito della modifica dell'art. 2120 c.c. da parte della legge n. 297/1982 i lavoratori avrebbero titolo per riscuotere l'indennità di anzianità maturata e richiedere, nel corso del rapporto, il ricalcolo del TFR. La Corte respinge l'eccezione richiamandosi a precedenti della Corte di Cassazione (Cass. n. 1255/98; Cass. n. 11470/97; Cass. n. 10824/97) secondo i quali il diritto al TFR sorge solo alla cessazione del rapporto, e che quindi solo da tale data decorre il termine di prescrizione: è pur vero che il TFR è oggetto di un diritto di credito certo e liquido, del quale la cessazione del rapporto determina soltanto l'esigibilità, ma proprio perché non esigibile prima della risoluzione del rapporto «soltanto da questa ultima data può iniziare a decorrere il termine prescrizionale di legge (art. 2948 n. 5 cod. civ. ).» INDENNITA' DI ANZIANITA'. La società Barilla contesta che le prestazioni effettuate dai suoi ex dipendenti potessero aver avuto il carattere della continuità, dando così l'occasione alla Corte di individuarne i requisiti, rifacendosi alle decisioni del Supremo Collegio sul testo dell'art. 2120 c.c. in vigore fino alla novella del 1982: «… essendo sufficiente, ai fini della sussistenza del carattere della continuità - che non presuppone anche l'obbligatorietà della prestazione e del relativo compenso per previsione di legge o di contratto individuale o collettivo, né la sua determinatezza o determinabilità secondo criteri prefissati -, l'accertamento di un criterio di regolarità, di frequenza o anche di mera periodicità della prestazione entro un periodo di tempo apprezzabile (Cass. n. 7966/1997)». Perciò nella base di calcolo va incluso il compenso per lavoro straordinario anche se di ammontare variabile, essendo il carattere continuativo riferito all'esistenza della prestazione straordinaria e non alla sua cadenza temporale, che può essere anche periodica (e non in senso assoluto) perché espletata per esigenze aziendali imprevedibili e fortuite, purchè i compensi non siano stati meramente eventuali e saltuari. «In sostanza il giudice deve procedere ad una valutazione a posteriori, accertando se il lavoratore abbia, con apprezzabile frequenza, effettuato (come nel caso in esame) prestazioni di natura straordinaria, aventi consistenza tale da far escludere la mera eccezionalità». T.F.R. Per quanto concerne il periodo di pacifica applicabilità della sola legge n. 297/1982 (prima, cioè dell'intervento della contrattazione collettiva, che ha dato adito a divergenti interpretazioni) la Corte d'Appello - richiamando una puntualizzazione della Corte di Cassazione (Sent. N. 2254/1993) secondo la quale l'art. 2120 novellato sostituisce alla regola della continuità quella della non occasionalità, che consente di comprendere nel computo del TFR anche indennità non continuative, purché occasionali - precisa: «Nel regime introdotto con la legge n. 297/82 occorre infatti aver riguardo al rapporto di causalità fra l'erogazione della prestazione retributiva ed il rapporto di lavoro, nel senso che sono da escludere dalla retribuzione utile ai fini del calcolo del TFR solo quelle somme che siano attribuite per cause del tutto eventuali, imprevedibili e fortuite rispetto alla normale vicenda lavorativa (fra le tante Cass. n. 4933/89, 825/90, 2784/90, 5185/90, 2714/93)». DEROGA DA PARTE DEL CCNL. Secondo La società Barilla avendo l'art. 58 del CCNL elencato le voci da prendere - in vie esclusiva - a base per il calcolo del TFR (tra le quali "minimo tabellare", "contingenza" ed altre voci) ciò dovrebbe escludere automaticamente il computo del lavoro straordinario. La Corte d'Appello si mostra di contrario avviso. Premesso che ai fini della validità della deroga da parte della contrattazione collettiva alla nozione legale di onnicomprensività della retribuzione utile per il calcolo del TFR «è necessaria la riformulazione di una esplicita volontà delle parti contraenti che evidenzi una previsione diversa da quella di legge (Cass. n. 1255/1988; n. 7326/95; n. 8474/96)» i giudici ritengono errato dedurre, dalla mancanza di riferimenti al lavoro straordinario, l'esclusione dello stesso (ove non occasionale) dal TFR. Ciò quantomeno per la parte relativa al minimo tabellare e alla contingenza (e quindi non della maggiorazione) «quando remunerano prestazioni di lavoro straordinario». Secondo la stessa Corte di Cassazione infatti le parti, che sono state così rigorose nel richiedere l'univocità dei termini da usare, avrebbero dovuto usare espressioni chiare ed univoche. E «non si vede assolutamente il motivo per cui "minimo contrattuale" e "contingenza" dovrebbero essere tali solo quando retribuiscono il lavoro prestato in orario normale e non quando retribuiscono il lavoro straordinario non occasionale» (Cass. n. 7326/1995). Interpretando l'art. 58 del CCNL, i giudici di secondo grado hanno statuito che «la contrattazione collettiva (…) ha inteso escludere dal computo le maggiorazioni pagate sullo straordinario o per qualsiasi altra ragione, non essendo un simile titolo incluso nella tassativa elencazione contenuta nella norma contrattuale, ed ha, invece, ricompreso la parte del compenso per il lavoro straordinario corrispondente alla normale retribuzione» in quanto «il compenso per lavoro straordinario non è solo corrispettivo della crescente penosità della prestazione; è prima di tutto corrispettivo del lavoro, mentre la sua "straordinarietà" giustifica l'erogazione della maggiorazione voluta dalla legge». INTERESSI E RIVALUTAZIONE MONETARIA. Va da ultimo segnalato che la Corte d'Appello di Bologna sembra aderire a quell'interpretazione dell'art. 22, comma 36° della legge n. 724 del 1994 che vieterebbe il cumulo tra rivalutazione ed interessi «questi ultimi dovendosi calcolare, secondo la previsione dell'art. 1224 cod. civ., sulla somma nominale e la rivalutazione spettando solo a titolo di eventuale "maggior danno"». Invero sul punto la motivazione della sentenza non è particolarmente approfondita, anche perché nella fattispecie concreta era pacifico che gli interessi dovessero essere calcolati sulla somma rivalutata trattandosi di crediti insorti prima del dicembre 1994. Si confida dunque che, res melius perpensa, la Corte possa, in una prossima occasione, tenere in debito conto dell'elaborazione della migliore dottrina sul punto, che ha sottolineato come il citato art. 22 comma 36 (il cui capo è intitolato "Disposizioni in materia di pubblico impiego") sia inteso a disciplinare una serie di aspetti che interessano esclusivamente il rapporto di pubblico impiego, e dovendosi pertanto escludere che il legislatore abbia voluto operare in modo così clandestino, nell'ambito di una legge finanziaria, l'abrogazione dell'art. 429 c.p.c. In ogni caso sul punto è attesa anche la pronuncia della Corte Costituzionale, a seguito del rinvio alla medesima da parte di Pret. Torino 21.5.1999 (in G.U. serie speciale n. 39 del 29.9.1999) con riferimento agl




Corte d'Appello di Bologna > Lavoro straordinario
Data: 27/09/2000
Giudice: Benassi
Tipo Provvedimento: Sentenza
Numero Provvedimento: Non disponibile
Parti: I.V.R.I. s.r.l. / Agostino V.
LAVORO STRAORDINARIO CONTINUATIVO E NON OCCASIONALE - INCIDENZA NEL CALCOLO DELL'INDENNITA' DI ANZIANITA' E DEL TFR: SUSSISTENZA - ESCLUSIONE DA PARTE DEL CCNL VIGILANZA PRIVATA. NECESSITA' DI DEROGA ESPLICITA: INSUSSISTENZA.


Una guardia giurata che aveva prestato, in modo metodico e per vari anni, un rilevante numero di ore di lavoro straordinario conveniva in giudizio avanti al Pretore del lavoro di Parma (nel corso del processo "trasformatosi" in Giudice unico del Tribunale) la Istituti di Vigilanza Riuniti d'Italia s.r.l. per vedersi riconosciuto il diritto al computo dello stesso nel TFR. Il datore di lavoro resisteva affermando l'esclusione del diritto da parte della contrattazione collettiva. Il Tribunale di Parma accoglieva la domanda e la sentenza veniva impugnata dalla società. La Corte d'Appello di Bologna esamina in primo luogo la definizione di «lavoro straordinario» del CCNL («quello prestato oltre i limiti dell'orario giornaliero contrattuale») per evidenziare che le prestazioni straordinarie che il datore di lavoro ha facoltà di chiedere «vanno contenute "in maniera equilibrata" in relazione alle particolari caratteristiche del settore, alla natura e alle modalità di svolgimento del servizio nonché ai turni e nastri orari…» deducendo da ciò «che la contrattazione collettiva ponga dei limiti, sia pure di massima, al ricorso a prestazioni di lavoro straordinario, la cui violazione potrebbe essere, anche, fatta valere dal lavoratore sotto diversi profili». Esaminando più in specifico le norme del CCNL che escluderebbero - a detta dell'azienda - il compenso per il lavoro straordinario dalla base di calcolo del TFR, i giudici di Bologna hanno accertato che una formulazione quale quella dell'art. 95 - che stabilisce che «per determinare la base annua utile per il calcolo del TFR si devono computare esclusivamente i seguenti elementi ….» tra i quali lo straordinario non è compreso - non significa affatto «che i compensi, "tassativamente" elencati dalla norma, entrano nella base di calcolo del TFR soltanto quando remunerano il lavoro ordinario e non quando sono erogati per prestazioni di lavoro straordinario». Al contrario l'art. 95 non contiene alcun riferimento al lavoro straordinario, bensì individua le componenti retributive che debbono essere inserite nella retribuzione annua da prendere a base per la determinazione della quota di cui al primo comma dell'art. 2120 cod. civ. Per volere un'eccezione le parti, che sono state così rigorose nel richiedere l'univocità dei termini da usare («esclusivamente i seguenti elementi…») avrebbero dovuto usare espressioni chiare ed univoche. E «non si vede il motivo per cui "stipendio o salario" e "indennità di contingenza" dovrebbero essere tali solo quando retribuiscono il lavoro prestato in orario normale e non quando retribuiscono il lavoro straordinario non occasionale» (cfr. Cass. n. 7326/1995). (…) In sostanza la contrattazione collettiva (…) ha inteso escludere dal computo le maggiorazioni pagate sullo straordinario o per qualsiasi altra ragione, non essendo un simile titolo incluso nella tassativa elencazione contenuta nella norma contrattuale, ed ha, invece, ricompreso la parte del compenso per il lavoro straordinario corrispondente alla normale retribuzione». Con questa pronuncia la Corte d'Appello di Bologna consolida e sviluppa un suo orientamento di interpretazione dei contratti collettivi (cfr. sentenza del 28 agosto 2000, relativa al settore dell'Industria alimentare) che contrasta l'opinione, diffusa anche a livello sindacale, secondo la quale determinate formule di stile sarebbero sufficienti ad escludere il principio di onnicomprensività della retribuzione, adottato dal secondo comma dell'art. 2120 cod. civ. novellato, e certamente applicabile alla prestazione di lavoro straordinario non occasionale ogniqualvolta la normativa collettiva non lo escluda in termini assolutamente precisi e categorici




Corte d'Appello di Bologna > Lavoro straordinario
Data: 16/08/2005
Giudice: Benassi
Tipo Provvedimento: Sentenza
Numero Provvedimento: 438/05
Parti: Giuseppe G. / INPS/ Min. Economia e Finanze/ Regione Emilia Romagna/Comune di Parma
PRESTAZIONI STRAORDINARIE: CARATTERE DI ECCEZIONALITA’. AUTORIZZAZIONE – ACCETTAZIONE TACITA: EQUIVALENZA. VALORE PROBATORIO DEL REGISTRO CRONOLOGICO: SOLO CONTRO IL DATORE DI LAVORO


Una dipendente di una società operante nel servizio di ristorazione nell’ambito delle mense aziendali che lamentava di aver effettuato, presso la mensa di un’azienda metalmeccanica, almeno un’ora di lavoro straordinario al giorno per oltre quattro anni, conveniva in giudizio la società datrice di lavoro avanti al Pretore del lavoro di Bologna chiedendo la condanna al pagamento delle differenze retributive. La società si difendeva affermando che il conteggio delle spettanze era mensilmente eseguito sulla base delle indicazioni della lavoratrice la quale, ogni giorno al termine del lavoro, segnava di proprio pugno le ore di lavoro effettuate sul libro presenze e negando comunque di aver mai autorizzato l’effettuazione di lavoro straordinario o fornito, anche implicitamente, il suo consenso allo svolgimento di attività lavorativa oltre il normale orario di lavoro. Il Tribunale, nel frattempo succeduto all’Ufficio del Pretore, pur avendo accertato, con le prove testimoniali, l’effettuazione dello straordinario per l’entità di ore rivendicata, respingeva il ricorso della lavoratrice riconoscendo valore probatorio alle ore segnate sui prospetti del libro presenza compilati dalla stessa lavoratrice. Di contrario avviso si è mostrata la Corte d’Appello. Il collegio ha innanzi tutto attribuito rilevanza alla lettera della lavoratrice e di una sua collega che, tramite la FILCAMS-CGIL, avevano dichiarato che - non avendo l’azienda preso in considerazione la loro richiesta di supporto, motivata dal fatto che prestavano complessivamente due ore giornaliere di lavoro in più del loro orario senza essere retribuite - si sarebbero scrupolosamente attenute all’orario di servizio concordato. Di qui il loro trasferimento presso altra mensa. La Corte, anche sulla base della citata lettera, ha ritenuto provato che il legale rappresentante della società fosse stato più volte reso edotto dalle lavoratrici della esigenza di aumentare le ore di lavoro e che, ciononostante, pur sapendo che le dipendenti prestavano servizio di loro iniziativa oltre l’orario normale per completare il lavoro, aveva ritenuto di non autorizzare le ore di lavoro straordinarie. Interpretando le norme del CCNL che disciplinano la materia, ha conseguentemente considerato applicabile il principio, più volte enunciato dalla Corte di Cassazione, (v. Cass. n. 1015/85; n. 1967/76; n. 1819/74 ed altre) secondo cui il consenso del datore di lavoro alla prestazione del lavoro straordinario può ravvisarci in qualsiasi comportamento che implichi l’accettazione, anche tacita, del lavoro stesso. Avendo la società, per anni, mantenuto presso la mensa aziendale due sole dipendenti nonostante che le esigenze del servizio espletato richiedessero una costante e continua prestazione di lavoro straordinario, ha finito per violare il primo comma dell’art. 80 del contratto collettivo, secondo cui il lavoro straordinario ha carattere eccezionale e non può, quindi, essere utilizzato per fronteggiare le normali e prevedibili esigenze di lavoro. Ne consegue che “avendo la società appellata tratto profitto dal lavoro straordinario svolto (…) non può costituire ostacolo al pagamento delle ore straordinarie la mancata formale autorizzazione” da parte del datore di lavoro. La Corte ha poi preso in esame la previsione dell’art. 81 del CCNL che, dopo aver stabilito che le ore di straordinario vengano cronologicamente annotate in apposito registro, afferma che tale registro “servirà come documento di prova per stabilire se il lavoratore abbia effettuato o meno il lavoro straordinario”. A tale proposito i giudici dell’appello hanno evidenziato che la società si è limitata a produrre in giudizio solo i fogli presenza redatti dalla lavoratrice, e non già il registro cronologico. Una documentazione, quindi, sostanzialmente diversa da quella prevista dalla norma contrattuale, e quindi inutilizzabile ai fini probatori individuati dalla stessa. Inoltre la Corte d’Appello ha comunque ritenuto che la comune volontà dei contraenti collettivi non fosse diretta ad imporre, per il caso di regolare tenuta del registro, la forma scritta per la prova del lavoro straordinario ma, piuttosto, fosse volta ad introdurre un meccanismo per consentire al lavoratore e alle Organizzazioni sindacali territoriali di verificare se e come il lavoro straordinario è impiegato dal datore di lavoro e per evitare possibili contestazioni tra le parti. In tale prospettiva il riferimento contenuto nel secondo comma dell’art. 81 al registro come documento di prova “va inteso nel senso che detto registro essendo formato sulla base delle risultanze di scritture contabili obbligatorie, ciò costituisce prova, in tema di lavoro straordinario, contro il datore di lavoro così come previsto dall’art. 2709 cod. civ. (…) ma non preclude al lavoratore, per le ore non annotate, la dimostrazione, con qualsiasi altro mezzo di prova, della effettuazione del lavoro straordinario. Ciò premesso, fermo restando l’onere per il lavoratore di provare l’effettivo svolgimento della prestazione e la relativa consistenza (Cass. n. 4668/1993; n. 181/1992) nonché, per quanto riguarda la prestazione eccedente quella ordinaria, la misura relativa, quantomeno in termini sufficientemente concreti e realistici (Cass. n. 2241/1987) la Corte ha ritenuto provata nel caso in esame l’effettuazione di almeno un’ora di lavoro straordinaria al giorno, conseguentemente condannando la società al pagamento di quanto non corrisposto a tale titolo